EMOZIONI
€ 14.00
DETTAGLI PRODOTTO
- Disponibile
- 978-88-85464-33-9.
- POESIA.
- Stefanella De Santis
- 110
Formato: 12 x 20 – Brossura Fresata
“ Le emozioni di Stefanella De Santis
sono pura poesia semplice,
quanto profonda,
intrisa di ricordi segreti e commossi
di un sogno che si fa racconto”.
Paolo Cristiano
Il mondo poetico di Stefanella De Santis è intriso di dolcezza, di ricordo. Non una dolcezza finta o “artificiale”, ma una dolcezza che nasce, spontanea, dalla memoria e che guarda alle cose di tutti i giorni con il “disincanto” quasi magico del poeta.
Ricordi di luoghi, di persone, di avvenimenti che hanno lasciato un segno profondo, immagini che giungono da luoghi lontani, nel tempo e nella memoria, eppure presenti, attuali. Un segno intenso accompagnato dalla consapevolezza della perdita di qualcosa di importante, di vero.
Ed è da questa consapevolezza che nasce la poesia di Stefanella De Santis, che si fa portavoce di quello che era e non è più, che recupera e rende attuale ciò che è passato dando nuovo senso e nuova vita alle cose che ci circondano.
Il discorso poetico di Stefanella De Santis ci prende per mano e ci accompagna nel suo mondo, per farci scoprire, riga dopo riga le cose di tutti i giorni viste da una prospettiva nuova, che solo la poesia sa dare, inventare, ricreare.
Sono, le sue, parole che hanno un costante aggancio con il presente, che riescono ad entrare nel cuore del lettore, per accompagnarlo in quella che è la ragione stessa della poesia: l’emozione.
Stefanella De Santis emoziona.
Copertina di Ginevra Gori
(Per gentile concessone)

Stefanella De Santis
Stefanella De Santis, di famiglia romana, è nata a Roma, dove vive tuttora. Laureata in Lettere Antiche e successivamente in Psicologia, ha esercitato l’attività di Psicologa Psicoterapeuta nel Servizio Sanitario Nazionale fino al pensionamento. Nel 1989 ha pubblicato un libretto di racconti, “Fotografie” (Lalli Editore) con cui è risultata al secondo posto nel Premio “Il Ceppo” di Pistoia. Nel 2008 un libro di narrativa dal titolo “Una Storia” con la Casa Editrice Albatros (Il Filo). Ancora con la medesima Casa Editrice, nel 2013 ha pubblicato un’altra opera di narrativa intitolata “La Finestra”. Con Abel Book ha pubblicato una raccolta di racconti dal titolo “Quadri di Vita”.
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€ 14.00Riflessioni dopo la lettura di: PAROLE RACCOLTE di Giampaolo Giampaoli
Benché suddivisa in varie parti la silloge mantiene una chiara coerenza di intenti sia nella struttura compositiva che nella accurata ricerca linguistica.
Si intuisce quanto siano fondamentali per l’autore “mutamenti e illusioni” che fin dalla prima composizione si affacciano con il loro potenziale di rivelazione e aprono spazi di pensiero contro l’opacità del nulla.
Nella prima sezione si coagulano i temi e le implicazioni legate al fare poetico. “Perdere l’ispirazione”: il panico che prende l’autore inerme contro il vuoto bianco della pagina… la poesia intesa in chiave salvifica, “contro monotonie future”.
Ma è nella seconda parte che l’autore mette in scena la relazione con il mondo esterno, l’altro da sé: le rimembranze fuggitive “il tuo baluginante sorriso”, l’incanto della natura, il tempo che trascorre inesorabile, i rimpianti “ripercorro i giorni”. I temi si snodano e si dilatano intorno all’intensità di rapporti di vita vissuta e racchiudono tutta la loro accensione affettiva nei versi conclusivi delle composizioni.
Già il trascorrere del tempo era stato sfiorato nelle pagine precedenti, ma in questo ulteriore segmento acquista un più intenso coinvolgente potenziamento emotivo: i protagonisti dei testi sono ben identificati, definiti, “il tuo lungo dormiveglia”, “le tue parole di follia” i riferimenti sono palpabili e le personalità si stagliano con amorosa nettezza.
Proseguendo nella lettura incontriamo i due testi conclusivi in cui si addensano le aspirazioni, i disincanti e le incertezze in cui il poeta si dibatte.
Ma possiamo, tornando all’inizio, trovare già delineato in nuce ciò che spinge l’autore a esternare l’intima essenza della sua pulsione poetica: “liberare parole”. Non quelle compromesse dal banale scorrere quotidiano, ma le altre che sgorgano con intensità dal tentativo di offrire nuovi sensi all’esperienza: le parole della poesia.
Questa, pulsione incontenibile è il pungolo con cui Giampaoli si mette in gioco per assorbire, dalla linfa creativa che lo nutre, il proprio progetto comunicativo. Non basta… la singolarità sofferta dell’autore prende respiro e ritmo anche dalla meditazione sulla sua finitudine e avverte la presenza di quell’oltre inafferrabile che si mostra solo come riverbero dell’ignoto.
Carla Paolini
“Parole raccolte” è la storia di un cacciatore.
Come ogni cacciatore, Giampaoli porta con sé un ottimo segugio di razza. Il segugio di razza di questo libro di poesie si chiama mestizia.
Il cacciatore insieme a mestizia si muovono nei chiaroscuri della quotidianità per cercare lirica, ovvero parole per descrivere panorami quotidiani, sia interiori che esteriori, per descrivere stati d’animo.
E non ci sono oggetti che si sottraggono a questa ricerca. Perché la poesia è ovunque, per dirla come recita un bel verso, la realtà è “poesia immanente“. Oggetti comuni che si trasformano, come un letto, che smette di essere un oggetto di mobilio per diventare un “altare della sofferenza”.
Eppure, in questa frenetica ricerca del senso, si può rimanere a mani vuote “mio è il niente“, constata infatti l’autore in un lapidario epitaffio. Non sempre le parole infatti vengono raccolte, anzi, alle volte risultano “negate sprecate”.
Eppure è un rischio che il cacciatore intende correre, dal momento che c’è una forte coscienza di sé, coscienza fluida e irrefrenabile “la mente è prolissa”.
La mente è prolissa quanto la realtà è ossimorica, contraddittoria al punto che leggiamo di “pagine sporche” sullo “schermo freddo”.Uno schermo che ricorre più volte e che viene aggettivato spietatamente come “afono”.
Un’intera poesia è dedicata al mondo del virtuale, allo schermo e alla finestra che rappresenta. La poesia Nella rete è infatti uno scavo in quella che l’autore apostrofa come “rigida macchina”.
Schermo, dunque, oggetto che si presenta come un’anafora scomposta e sparsa in “Parole raccolte”.
Ampio spazio trovano gli ossimori, più concettuali che retorici. Proseguendo nella lettura si scopre che la vergogna può essere un piacere. O forse è il piacere ad essere una vergogna. Questo è uno dei segreti che il cacciatore si porta con sé insieme a mestizia, il suo segugio.
Eppure il cacciatore poeta non si dà pace, fiuta nell’aria guidato da quella che lui stesso chiama “presunta sensibilità“, ancora una volta spietato, ma questa volta con sé stesso. E l’aggettivo torna in un’anafora, concettuale anch’essa e non retorica, quando leggiamo “presunta bontà”.
Per poi arrivare ad una ammissione esistenziale, profonda e dura, nel verso che recita “mia natura corrotta”, senza risparmiare al lettore la sofferenza che costa mettere in versi una tale coscienza di sé. Ma potrebbe essere un inganno, perché l’autore scopre anche la carta della finzione poetica per fare poesia dell’artificio stesso: “mio mondo artefatto”.
Nonostante ciò, lo sforzo e le ferite non fermano la raccolta di parole, nell’estremo tentativo di “esistere ancora”.
Il cacciatore, come ogni cacciatore, non è solo. Viaggia con i suoi fantasmi, creature fatte di una eteroclita sostanza “la dolce sostanza mai assunta tra le solite mura”. In Parole raccolte i fantasmi si muovono in quella che il poeta chiama “la consistenza del vuoto”.
A volte il cacciatore guarda anche in direzione del cielo dove a parlargli è un Dio che nei versi è “il Dio conosciuto”.
Un Dio a cui l’autore pare urlare “Ti credo nella complessa totalità”.
Il verso più forte non è dedicato al trascendente, la lirica più spinta della raccolta si concretizza in un urlo pacifico “l’abbiamo mancato l’immenso papà”.
“Un canto navajo” suonato da un Kokopelli risuona tra i versi della poesia Cimitero, a restituire una serenità che altrove è minacciata dall’oscura “Persefone”. E non è un caso che l’ultimo aggettivo della racconta sia “inviolato”.
L’inviolabilità del silenzio, della notte. Quella notte evocata dall’esergo della Merini a inizio raccolta.
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